post scoperto per caso con un mese di ritardo... meglio tardi che mai!
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di paolo d'agostini, repubblica.it
2 Apr 2009 il cinema può essere “servizio”?
L’arte non deve essere “al servizio di”, non deve essere didascalica o propagandistica? Belle domande. Ora, a parte che parlando di cinema - e, oggi, anche più in generale di comunicazione audiovisiva - si parla di un oggetto per sua natura ibrido, che insomma non è mai solo artistico, si potrebbero evocare precedenti che sono rimasti per una ragione o per un’altra memorabili: il cinema sovietico rivoluzionario degli anni Venti, i tanti artisti (non solo cineasti) che si sono fatti propagandisti della Spagna repubblicana durante la Guerra civile, l’adesione di molti pezzi grossi di Hollywood alle ragioni della propaganda bellica durante la Seconda guerra mondiale. Forse ci sono delle emergenze alle quali tutti sono chiamati a far fronte.
Non so se è il caso di parlare di emergenza nei tre casi di attualità che mi vengono in mente. Ma li segnalo. Uno. Il film televisivo (eviterei la mostruosità lessicale “fiction”) ”Pane e libertà” dedicato alla figura di Giuseppe Di Vittorio, regia di Alberto Negrin, protagonista Pier Francesco Favino. Il prodotto aveva molto dell’album di figurine, conteneva molte cadute nel sommario e nel superficiale (Palmiro Togliatti non era quella macchietta lì), era complessivamente al di sotto delle potenzialità offerte da un personaggio storico di ricchezza straordinaria. Tuttavia è stato portato a casa un grande risultato: quello di averlo fatto, di esserci riusciti, di essere andati in onda sulla rete televisiva ammiraglia della Rai, di aver realizzato eccellenti ascolti. Fatto il bilancio ne valeva la pena, valeva la pena proporre un tentativo di intrattenimento intelligente e istruttivo, di televisione - perché no - didattica e pedagogica. Due. Anche se ho i miei dubbi sull’operazione trovo interessante sia il fatto che un grande gruppo bancario (Intesa Sanpaolo) abbia chiamato tre artisti del cinema di prima grandezza, sia che tre registi importanti come Olmi, Salvatores e Sorrentino abbiano aderito all’invito. Si trattava si fare tre cortometraggi per una campagna a favore della Fiducia. Con tutti gli eventuali dubbi è una formula che merita attenzione e interesse. Tre. Infine voglio ricordare la cosa più piccola ma forse anche più valida di tutte. Un giovane regista, Giacomo Faenza (che come molti giovani operanti nella comunicazione fa un po’ di tutto, dallo scrivere sceneggiature al lavorare in redazioni di programmi tv), ha svolto una vasta inchiesta interrogando in giro per tutta l’Italia centinaia di giovani e meno giovani sulla loro conoscenza della Costituzione repubblicana, sulle loro aspettative, sulle loro delusioni, con particolare riferimento agli articoli della Carta fondamentale dedicati al lavoro, al diritto al lavoro. Il documentario (che si limita a montare una dietro l’altra le interviste, per capitoli ciascuno intitolato a un articolo della Costituzione) si chiama “Caro Parlamento” ed è uno spaccato davvero illuminante. Purtroppo non ha avuto grande circolazione. Tenete d’occhio il titolo e cogliete l’occasione se capita.
Scopo del documentario è interpretare e dare un volto ai tanti dati, ai tanti articoli, ai tanti libri che escono ogni giorno sul precariato. Vuole documentare se e come i primi articoli della Costituzione siano stati messi in pratica nell’Italia del 2008. Non solo, vuole anche rappresentare un tentativo sui generis di riallacciare un dialogo tra i giovani e le istituzioni, dialogo che da qualche anno a questa parte sembra più che mai compromesso.
Caro Parlamento è stato prodotto con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale per il Cinema.
domenica 3 maggio 2009
dal blog del critico Paolo d'Agostini
Pubblicato da
Caro Parlamento
alle
11:01
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